Il Tribunale di Forlì, accogliendo la domanda perorata da questo studio, in difesa di un istituto di credito ha affermato, in linea con precedenti decisioni giurisprudenziale, che il finanziamento volto a ridurre passività pregresse è lecito poiché lecita ne è la stessa causa (Cass. Civ. 19282/2014). Il mutuo fondiario disciplinata dall’articolo 38 TUB infatti, presuppone i seguenti elementi essenziali: un prestito a medio-lungo termine, una garanzia ipotecaria di primo grado su immobili, e un rapporto fra somma erogata e valore del bene dato in garanzia, senza alcuno scopo ulteriore. In ragione di quanto sopra al mutuo fondiario non si applica la disciplina specifica e più stringente del mutuo di scopo poiché, nella prima fattispecie, non sussiste una pattuizione “finalistica che assuma rilievo eziologico“. Il mutuo fondiario non necessita che le somme erogate siano destinate ad una specifica finalità a cui possa essere, in ipotesi, tenuto il mutuatario, né occorre che l’istituto mutuante controlli l’utilizzazione che viene fatta del denaro dato in prestito, rimanendo il contratto, più semplicemente, caratterizzato dalla concessione della garanzia ipotecaria a tutela dell’erogazione (Cass. 9511/07 Cass. 4792/12). È stata pertanto rigettata la domanda di nullità dei contratti di mutuo e accolta la richiesta di pagamento formulata – in prima battuta con decreto ingiuntivo di poi opposto – da parte dell’istituto di credito difeso da questo studio.
Il divieto di concorrenza in concomitanza di cessione di quote o rami di azienda è diretto a garantire il risultato utile dell’operazione rispetto al rischio di concorrenza, da parte dell’alienante, tesa a provocare, con un’eventuale nuova attività, uno sviamento di clientela.
La valutazione del “come” e “quando” una eventuale nuova attività del cedente possa essere idonea a polarizzare il divieto è di carattere squisitamente discrezionale, e viene contestualizzata sia in relazione all’oggetto dell’attività in potenziale concorrenza (modo), sia alla sua ubicazione (luogo). In altre parole deve essere preservato, da attività concorrenziali, il mercato di riferimento dell’azienda ceduta fino a ricomprendere aree di potenziale crescita (produttiva o di territorio) della stessa.
La durata del vincolo – in assenza di specifica diversa indicazione – è stata indicata dalla legge (art. 2557 c.c.) in cinque anni dal «trasferimento» dell’azienda e decorre dal momento nel quale il cessionario acquista la disponibilità dell’azienda (non dalla data in cui si stipula il contratto qualora la consegna fosse differita).
Se la stipula del patto esprime, da un lato, la libertà negoziale dei contraenti, dall’altro non deve però impedire, in senso assoluto, ogni attività professionale di chi cede le quote.
Il patto deve essere provato per iscritto e, in questo contesto di cessione di quote, non è necessaria la previsione di uno specifico corrispettivo.
L’’“institutio ex re certa” contempla l’assunzione della qualità di erede da parte di chi è stato chiamato a succedere in beni e diritti determinati. Cosa accade se dopo il testamento ma prima della morte detti beni vengono alienati dallo stesso testatore?
La Suprema Corte con la pronuncia n. 6972 del 17.03.2017, ha precisato che nel caso in cui venga alienato un bene che formava oggetto di institutio ex re certa, la disposizione testamentaria in questione deve reputarsi revocata in virtù della stessa natura di tale istituto quando la fuoriuscita del bene dal patrimonio del testatore stravolga del tutto l’assetto tenuto a mente da quest’ultimo per il tempo successivo alla sua morte.

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Tempi duri per tutti anche per i proprietari di immobili affittati ad inquilini in ritardo con il pagamento dei canoni.
Il testo del decreto cosiddetto Milleproroghe prevede che «la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall’articolo 103, comma 6, del decreto – legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’articolo 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari».
Ciò significa che i proprietari che hanno agito avanti all’autorità giudiziaria per ottenere il rilascio del loro immobile, in quanto l’inquilino non paga il canone subiscono, purtroppo, la sospensione decisa legislativamente fino al 30 giugno 2021 anche avendo ottenuto precedentemente un provvedimento di convalida dello sfratto per morosità.
Sgombrato il campo dai soggetti che effettivamente avevano diritto a beneficiare della detta proroga per aver perso il lavoro o la propria fonte di reddito, rimane comunque una pletora di soggetti già di per sé morosi, o comunque intenzionati a non adempiere pur avendone le possibilità che approfitteranno di questo ennesimo provvedimento di dubbia efficacia.