L’art. 47-3bis. della Riforma Cartabia consente di richiedere, insieme alla domanda di separazione, anche la cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzio). Tale possibilità che, prima facie, appare allettante, poiché prospetta di concludere, in un tutt’uno, separazione e divorzio, in realtà, applicata alla pratica, produce effetti sostanzialmente poco diversi rispetto al passato.Il Tribunale di Milano […]

Accade spesso che l’efficacia di un contratto preliminare, o di una proposta accettata in conformità, sia subordinata alla concessione di un finanziamento con il quale pagare parte del prezzo della compravendita.

Nessun problema se la condizione sospensiva si avvera poiché l’accordo preliminare prende vita con relativi obblighi, compreso quello di eventuale consegna della caparra lasciata in deposito fiduciario al mediatore.

Invece, cosa accade se il mutuo non viene concesso, magari a causa di un comportamento ” pigro ” dell’acquirente il quale, avendoci ripensato, non consegna la documentazione necessaria all’istituto di credito o, addirittura (coperto dal velo di riservatezza esistente fra banca e cliente) interrompe la relativa pratica?

Le conseguenze non sono gradite né dal venditore, che ha confidato sul buon fine di un affare, magari declinando anche successive proposte da parte di altri soggetti interessati, né all’agenzia immobiliare che, pur avendo lavorato sull’affare, non matura alcun diritto alla provvigione.

La domanda è duplice. In primo luogo occorre interrogarsi sulla validità di una clausola all’apparenza “ meramente potestativa ” che, se fosse davvero tale, sarebbe invalida. In secondo luogo: indagare eventuali profili di responsabilità del soggetto (promissario acquirente onerato di richiedere il mutuo) che con la sua (in)attività provoca la definitiva inefficacia degli accordi preliminari.

La Corte di Cassazione, con sentenza sentenza n. 22046 del 2018 alla quale si sono successivamente allineate decisione di alcuni Tribunali di merito (Trib. Novara n. 48/2021 e Trib. Modena n. 900/2019) ha ritenuto valida la clausola sospensiva diretta a verificare la concessione, o meno, del finanziamento definendola a contenuto misto (potestativo e causale). Infatti, l’erogazione dipende, oltre che dalla condotta del promissario acquirente, anche da altre circostanze quali la valutazione del merito creditizio da parte ella Banca o la sussistenza di altri requisiti utili all’erogazione .

Circa, invece, la condotta del soggetto onerato a richiedere il mutuo essa parrebbe essere esente da responsabilità posto che, l’avveramento o meno della condizione, è fatto squisitamente legato ad un evento specifico: l’erogazione o meno del denaro.

In questo contesto vale la pena osservare che potrebbe profilarsi una responsabilità di questo soggetto solo qualora lo stesso venisse onerato di particolari obblighi, in violazione dei quali dovrebbe essere possibile attribuire al medesimo una responsabilità di tipo contrattuale. Ben vengano, allora, patti con i quali gli si domanda di collaborare positivamente con la Banca fornendo tutta la documentazione necessaria, oppure informare le altre parti interessate, e/o compiere ogni attività utile ad ottenere l’erogazione della somma… pena il risarcimento del danno o il pagamento di una penale contrattualmente predeterminata.

Proposta d’acquisto e diritto alla provvigione del mediatore

Afferma la Corte nella sentenza di cui sopra, che è da escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia costituito soltanto un vincolo idoneo a dare impulso alle successive articolazioni del procedimento di conclusione dell’affare.

Nella vicenda esaminata, ove vengono considerati aspetti più articolati e specifici, si afferma questo principio che, così massimato, potrebbe dare adito ad incertezze nel considerare, in ipotesi assai diffuse nella prassi di proposta accettata in conformità, che l’affare non si sia concluso che quindi non si è maturato il diritto alla provvigione.
In realtà la Corte di Cassazione non fa altro che ribadire principi noti consolidati: il diritto alla provvigione nasce sempre e soltanto in presenza di un vincolo giuridico che abiliti le parti ad agire per l’esecuzione specifica del negozio nelle forme di cui all’articolo 2932 codice civile. Quindi sicuramente in ipotesi di proposta accettata in conformità soprattutto qualora sia specificato in tali documenti che al momento dell’accettazione la proposta diventerà a tutti gli effetti contratto preliminare.
In tutte le altre situazioni nelle quali la proposta possa essere considerata solo un atto preparatorio di un successivo negozio programmato, un preliminare di preliminare una minuta di preliminare, nella quale vengono evidenziati solo impegni di massima con obbligo per le parti di incontrarsi davanti al notaio per la successiva stipula di un vero proprio contratto preliminare, si può ritenere trovarsi in presenza di una proposta che non possa essere ritenuta sufficiente per agire giudizialmente in forma specifica. Del pari, i medesimi limiti incontrano, una proposta non accettata o altri accordi più generici subordinati ad eventi futuri ed incerti.

Il Tribunale di Forlì, accogliendo la domanda perorata da questo studio, in difesa di un istituto di credito ha affermato, in linea con precedenti decisioni giurisprudenziale, che il finanziamento volto a ridurre passività pregresse è lecito poiché lecita ne è la stessa causa (Cass. Civ. 19282/2014). Il mutuo fondiario disciplinata dall’articolo 38 TUB infatti, presuppone i seguenti elementi essenziali: un prestito a medio-lungo termine, una garanzia ipotecaria di primo grado su immobili, e un rapporto fra somma erogata e valore del bene dato in garanzia, senza alcuno scopo ulteriore. In ragione di quanto sopra al mutuo fondiario non si applica la disciplina specifica e più stringente del mutuo di scopo poiché, nella prima fattispecie, non sussiste una pattuizione “finalistica che assuma rilievo eziologico“. Il mutuo fondiario non necessita che le somme erogate siano destinate ad una specifica finalità a cui possa essere, in ipotesi, tenuto il mutuatario, né occorre che l’istituto mutuante controlli l’utilizzazione che viene fatta del denaro dato in prestito, rimanendo il contratto, più semplicemente, caratterizzato dalla concessione della garanzia ipotecaria a tutela dell’erogazione (Cass. 9511/07 Cass. 4792/12). È stata pertanto rigettata la domanda di nullità dei contratti di mutuo e accolta la richiesta di pagamento formulata – in prima battuta con decreto ingiuntivo di poi opposto – da parte dell’istituto di credito difeso da questo studio.

Il divieto di concorrenza in concomitanza di cessione di quote o rami di azienda è diretto a garantire il risultato utile dell’operazione rispetto al rischio di concorrenza, da parte dell’alienante, tesa a provocare, con un’eventuale nuova attività, uno sviamento di clientela.
La valutazione del “come” e “quando” una eventuale nuova attività del cedente possa essere idonea a polarizzare il divieto è di carattere squisitamente discrezionale, e viene contestualizzata sia in relazione all’oggetto dell’attività in potenziale concorrenza (modo), sia alla sua ubicazione (luogo). In altre parole deve essere preservato, da attività concorrenziali, il mercato di riferimento dell’azienda ceduta fino a ricomprendere aree di potenziale crescita (produttiva o di territorio) della stessa.
La durata del vincolo – in assenza di specifica diversa indicazione – è stata indicata dalla legge (art. 2557 c.c.) in cinque anni dal «trasferimento» dell’azienda e decorre dal momento nel quale il cessionario acquista la disponibilità dell’azienda (non dalla data in cui si stipula il contratto qualora la consegna fosse differita).
Se la stipula del patto esprime, da un lato, la libertà negoziale dei contraenti, dall’altro non deve però impedire, in senso assoluto, ogni attività professionale di chi cede le quote.
Il patto deve essere provato per iscritto e, in questo contesto di cessione di quote, non è necessaria la previsione di uno specifico corrispettivo.

Solitamente gli immobili costruiti in edilizia agevolata, ex art. 35 Legge n. 865/1971 (aree P.E.E.P.), hanno un prezzo massimo di cessione stabilito proprio in virtù della loro funzione specifica, tesa ad evitare che, chi ha beneficiato della agevolazione, non speculi vendendo ad un prezzo maggior il bene, realizzando così un profitto non dovuto.

La materia è complessa e articolata e opertativamente deve essere affrontata con l’aiuto di un notaio che si occuperà della stipula, e in via preventiva, occorrendo, con un legale che si dedichi ad una attenta lettura della convenzione stipulata con il Comune.

In ogni caso, per tutta la durata del vincolo, che di solito è di vent’anni, e salvo rimozione, il limite del prezzo massimo segue sempre il bene nei vari eventuali passaggi di compravendita, costruttore proprietario prima e proprietario nuovo acquirente poi e via via così. Il vincolo si configura tecnicamente come un onere reale che segue l’immobile indipendentemente dai soggetti che ne ricevono l’intestazione.

Detto ciò: cosa succede qualora l’immobile venga compravenduto ad un prezzo maggiore?

La Cassazione ha avuto modo di dichiarare, con sentenza Cassazione civile , sez. II , 28/05/2018 , n. 13345 che la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita perciò di diritto, ex art. 1419, comma 2, e 1339 c.c., da altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza dell’originaria convezione di concessione con conseguente diritto, in capo all’acquirente, di domandare la restituzione della parte in eccesso al venditore ma sempre ferma la validità del contratto di trasferimento.

Giova con l’occasione rilevare la diversa fattispecie riguardante il vincolo del prezzo di cessione previsto dall’art. 8 l. 28 gennaio 1977, n. 10 (cd. legge Bucalossi), è stata invece rimessa alle sezioni unite da Cass. Civ. 14.09.2021 n. 24703.

La prima Sezione della Suprema Corte, con sentenza 06 Luglio 2022, n. 28232, pubblicata il 19/11/2022, ribadisce il preciso operare della postergazione ex articolo 2467 c.c. a tutela dei creditori sociali. Ciò indipendentemente dalla volontà espressa dalla società, o dal socio, o dalle vicende in virtù delle quali in capo allo stesso sorge il diritto alla liquidazione della quota. In buona sostanza, la postergazione prevista dallo statuto civile, all’articolo 2467 c.c. sussiste, e continua a operare (qualora il finanziamento sia stato erogato in una situazione di difficoltà finanziaria o di squilibrio patrimoniale della società) fino a quando tale esigenza non venga meno, a seguito del superamento delle criticità patrimoniali e finanziarie dello stesso ente. In tale situazione, superate le difficoltà, il credito restitutorio del socio ritorna pienamente esigibile anche qualora non siano stati adempiuti altri, ordinari, debiti sociali.

Non vi è responsabilità professionale per mancato reperimento di precedenti autorizzativi da parte dell’Amministrazione. Lo studio legale dell’Avvocato Fabrizio Fabbri ha patrocinato un importante studio di architetti costretto ad agire in giudizio per il pagamento dei propri compensi professionali. Il Tribunale di Forlì, con sentenza n. 950 del 2021 (GI Dott. V. Vecchietti), ha definito il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo rigettando la domanda degli opponenti. È stato affermato il principio giuridico di libertà di scelta professionale discrezionale, in quanto tale opinabile, rispetto alla quale non può prospettarsi alcuna responsabilità (Cass. Civ. Sez. 3 n. 11906 del 10.06.2016). E’ stata inoltre dichiarata l’assenza di responsabilità per mancato reperimento di precedenti autorizzativi presso l’amministrazione comunale poiché, si è detto, trattandosi di attività di natura ricognitiva, il professionista non assume alcuna responsabilità su ricerche rientranti nella sfera di pertinenza dell’amministrazione sulle quali egli non può svolgere alcun controllo e/o neppure intervenire (cfr. circolare regionale 7 agosto 2003n. 4174).

La Corte Costituzionale ha ritenuto non più proporzionato il bilanciamento tra la
tutela giurisdizionale del creditore e quella del debitore nelle procedure esecutive
relative all’abitazione principale di quest’ultimo in considerazione del fatto che i
giudizi civili (e quindi anche quelli di esecuzione), dopo l’iniziale sospensione
generalizzata, sono ripresi gradualmente con modalità compatibili con la pandemia.